»L'antro di nonna Ggggì » Ja'far Vr.

Over My Shoulder, settimo capitolo

« Older   Newer »
  Share  
CAT_IMG Posted on 20/8/2010, 16:23

Junior Member
♦♦

Group:
Administrator
Posts:
67
Location:
L'Antro di Nonna Ggggì, ovvio ù_ù

Status:


=Settimo Capitolo=




Leen e Sam erano andati via, o per lo meno erano lontani, ma fondamentalmente non mi importava.
Appena uscimmo fuori io vidi chiaramente una Aston Martin nera identica a quella di Glenn.
Mentre ci avvicinavamo al parcheggio vidi qualcuno scendere dall’auto: era lui. Aveva una maglietta grigia, un paio di pantaloni neri sgualciti e la barba lunga. Non somigliava nemmeno al Glenn che conoscevo.
I miei genitori si fermarono proprio vicino alla sua auto.
Pensai fosse lì solo per lavorare, però lui galoppò minaccioso verso di me. «Grazie per avermi avvertito, Butch...» prima sorrise a mio padre e poi si accovacciò davanti a me, aggrappandosi con le mani ai braccioli della sedia. «Ti porto a casa, che dici?».
Guardai altrove e mi ricordai in quel momento di quanto fossi incazzato quando ero stato aggredito. «Pensa ai tuoi genitori e alla tua promozione!» sibilai a mezza bocca.
Lui mi sorrise col suo solito sorrisetto ipocrita. «Ci penso, tranquillo».
«E allora vattene!» urlai, la mia voce si era alzata di due ottave sopra la norma.
Non si smosse, restò lì a guardarmi coi suoi occhi di quel colore così strano. Mi parve avesse delle occhiaie profonde e fosse più pallido del solito. «Dai, non fare il bambino...».
Lo guardai ancora più male. «Papà, portami a casa!».
Glenn ridacchiò. «Ti devo accompagnare per forza io, i tuoi hanno in macchina Sam e Leen...» mugugnò alzandosi in piedi.
Arricciai il naso schifato. «No. Prenderò l‘autobus!».
Non batté ciglio, si chinò verso di me, mi circondò le spalle con un braccio e mi passò l’altro sotto le gambe, mi ritrovai in braccio a lui, immobilizzato contro il suo petto. «Che dice, Butch? Mi apre la portiera?».
Capii allora che mio padre era un suo complice, quando aprì lo sportello e io mi ritrovai sui sedili di pelle grigia dell’Aston Martin. Voltagabbana che non era altro!
Glenn si chinò e mi sistemò il sedile in modo che la posizione non pesasse sulla ferita al basso ventre, e poi mi allacciò la cintura di sicurezza. «Sta‘ buono qui, ora».
Provai a scendere ma fu inutile: ero troppo debole per qualunque cosa. Cercai di slacciare la fibbia della cintura e di uscire dall’auto, ma perfino le dita mi tremavano. Me le rimirai e capii in quel momento che erano tutte ferite, le unghie, tutte e dieci le unghie erano spezzate
«Sta‘ fermo, dai...» mormorò mentre caricava un borsone che non avevo con me in ospedale sul sedile dietro «Ti fai male così, lo sai?».
Lo ignorai e basta, cercai ancora di uscire, ma non feci in tempo. Lo sportello dal lato del guidatore si aprì.
Prima di sedersi indugiò un momento fuori, stava parlando di qualcosa con mio padre, ma non sapevo cosa si stessero dicendo, chiacchieravano a bassa voce. Poi, Glenn gli porse la mano e mio padre lo salutò invece con un abbraccio forte. A quel punto si sedette accanto a me, chiuse lo sportello. si sistemò la cintura e avviò il motore. «Dovrai fare controlli settimanali, domani bisogna tornare in ospedale per una visita... E poi beh, se vuoi ti prendo tra i miei pazienti...» mugugnò abbassando un po‘ il finestrino.
Ringhiai. «E i tuoi come la prenderebbero?».
Sospirò, ma non disse niente. Stavolta era lui ad ignorarmi.
Dopo aver girato due volte in quel groviglio di auto e strade che componeva il parcheggio del North General Hospital, riuscì a trovare la strada per uscire.
Percorse tutta Madison Avenue.
Ci volevano quattordici minuti per arrivare a casa mia, ma non svoltò per andare nella direzione di Chester Street, anzi, salì sulla rampa per l’inversione di marcia e svoltò per immettersi sulla tangenziale poi girò su un boulevard che non portava neppure a casa dei miei, e dopo appena quindici minuti ci ritrovammo sulla quinta.
Mi guardai intorno due volte e poi lo fulminai con lo sguardo. Era la zona dove viveva lui. «Dove diavolo....» ringhiai.
Mi accarezzò il dorso della mano. «Stai calmo».
«Io voglio andare a casa mia!» ringhiai ritirai il braccio rivolgendogli un‘occhiataccia. «Basta! Lasciami qui».
«Beh certo ti lascio in mezzo a Fifth Avenue!» annuì calmissimo. «E poi tuo padre non vuole che torni a vivere lì.» farfugliò.
«E che ti frega? Per favore, accosta!» brontolai.
Si infilò in un parcheggio vuoto, rischiando seriamente di graffiare la sua auto luccicante in più punti. «Come che mi frega?» domandò guardandomi adirato.
«Sì! Non sei nemmeno venuto a trovarmi!» ringhiai. «Pensa alla tua maledetta promozione! Tu pensi solo a quello!» replicai. «Poi ci sono pure i tuoi!».
Restò in silenzio a fissarmi, era arrabbiato.
Riuscii a slacciarmi la cintura e aprii la portiera. «Vaffanculo Glenn».
Mi piantò la mano sulla spalla. «Resta qui».
«Perché dovrei? Tu non accetti ciò che sei, tu non accetti me!» ruggii.
Mi prese il volto tra le dita, col pollice mi carezzò piano la guancia. «L‘ho rifiutata. La mia maledetta promozione l‘ho rifiutata.» sussurrò. «Ora per favore sta‘ zitto e buono, Nadir.» si chinò su di me e mi sistemò la cintura, di nuovo.
Arricciai il naso. «Cosa?».
Ingranò le marce e mi guardò dannatamente male. «Davvero pensi che io non mi curi di te?».
Ringhiai. «Tu non ti sei fatto mai vedere! Hai pensato solo al lavoro! Perché questo è quello che sai fare!».
Tornò sulla strada. «Calmati, Nadir...» mormorò. «Così aumentano le tue pulsazioni e ti fanno più male le ferite...» stava nuovamente usando quel dannato tono ipocrita.
Scossi il capo. «Sei proprio uno stronzo! A te non frega nulla di me, invece!».
Svoltò a destra e si infilò in un garage coperto e aprì con un telecomando un box. Parcheggiò l‘auto e restò fermo a guardarmi. «Ti ho....» si fermò subito con uno scatto leggero del collo. «Tu credi che sia bello vedere la persona che ami in un lago di sangue? Massacrato sotto i colpi di cinque bastardi, eh? Secondo te come ci si può sentire?» ringhiò. «Nadir io non riuscivo a venirti a trovare... Avevo paura di rivederti così».
Restai fermo.
«Mi sono comportato male, hai ragione... Ma io...» scosse il capo.
Mi aveva trovato lui. «Sei stato tu…?».
«Ti ho portato in ospedale sì. Visto che non mi hai chiamato...» mormorò. «Non andrai mai più a casa tua, resterai a vivere da me, hai capito?».
«E i miei?» farfugliai.
«Lo sanno, mi hanno aiutato a portare la tua roba da me.» sorrise.
Strinsi le palpebre. «Perché dia....».
«Ehi, vuoi salire su?» domandò. «Devi riposarti».
«Abbiamo litigato... Hai passato da solo le vacanze... Mi odi?» farfugliai.
«Ma che dici?» sorrise. «Non sono riuscito a stare solo durante.... Ho ripreso a lavorare subito, e ora sono in ferie.» mugugnò. «Andiamo, devi riposarti».
Scese e girò attorno alla sua auto per aiutarmi.
Io vacillai un momento una volta che scesi a terra, lui mi strinse contro di sé e poi mi sollevò tra le braccia. Da dov’ero potevo chiaramente vedere che il suo viso era davvero pallido e sul suo collo risaltava la giugulare.
Arrivammo all’ascensore e salimmo fino all’ultimo piano.
Non ci fu bisogno di aprire la porta, era già spalancata e c’era il suo cane che scodinzolava.
«Ehi, spostati, non gironzolare intorno a Nadir, okay?» gli sussurrò mentre entrava in casa.
In quel momento vidi un uomo dai capelli bianchi che stava armeggiando in cucina. Indossava una camicia nera e un paio di pantaloni grigi e aveva un bel grembiulone nero. «Charlotte?» mormorò.
In quel momento in cima alla scala si palesò una donna dai capelli grigi molto magra che portava un abito molto attillato di un grigio identico a quello dei pantaloni dell’uomo.
«Oh, sono arrivati, eh?» farfugliò scendendo in fretta le scale.
Glenn mi rimise a terra. «Papà, mamma... Lui è... Nadir.» sussurrò tenendomi stretto contro di sé per non farmi poggiare la gamba ingessata.
Io lo guardai sbalordito. L’aveva detto ai suoi o forse mi avrebbe presentato come un suo amico?
«Oh, bentornato a casa, caro!» mugugnò sua madre avvicinandosi a noi. «Come ti senti?»sorrise prima di abbracciarmi.
«Mamma, non lo abbracciare così, gli fai male...» mormorò.
«Scusa, volevo solo fargli capire che qui è a casa!» brontolò lei.
Suo padre si avvicinò a me. «Perdonala, Charlotte non è un tipo granché delicato...» mi porse la mano. «Sono Arthur Gerald Wellesley, nono duca di Wellington.» annuì.
«Papà, per favore evitiamo questi giochetti...» farfugliò Glenn poi si chinò sul mio orecchio. «Non è vero, eh...».
Sorrisi. «Per me lei è un perfetto duca, signor... McCohen?».
«Mio padre è fissato con la nobiltà britannica...» sbuffò.
«Sono un esquire... ma anche un professore di storia...» sorrise. «Mi chiamo Alexander McCohen e sono lieto di conoscerti Nadir».
«Un esquire è....» cominciò a dire Glenn.
«Un titolo nobiliare inglese che definiva antichi proprietari terrieri... Ora è pressoché ereditario, no?» sussurrai e traballai un momento.
«’ccidenti!» suo padre mi guardava con gli occhietti sbrilluccicosi, erano verdi, belli quasi quanto quelli di suo figlio, l’avevo sbalordito. A qualcosa servirà studiare letterature comparate, no?
«È bravo, eh? È un genietto, lui!» sogghignò Glenn. «Vogliamo andare a letto?» sorrise prendendomi in braccio. «Stai preparando la cena?».
«Deve mangiare leggero, ma corposo... Ho preparato una vellutata di funghi porcini e un paio di filetti di carne equina...» sorrise Alexander.
«Io ho sistemato la camera da letto come avevi detto.» replicò sua madre.
Glenn sorrise. «Grazie a tutti e due, non vi daremo più fastidio... promesso».
«Non è un fastidio, questo, tesoro...» sorrise Charlotte. «Sei il nostro bambino e daremmo l‘anima per vederti felice».
Glenn mi strinse di più a sé. «Vado a metterlo a letto, voi prendetevi una serata per voi... Siete così belli stasera».
«Andiamo a cena fuori infatti, così vi lasciamo soli, piccioncini!» sogghignò suo padre.
Glenn si fece tutto rosso in viso. «Papà!».
Gliel’aveva detto. L’aveva fatto davvero.
«Sì, Alex, evita, dai!» brontolò sua moglie.
Glenn si avviò verso le scale e salì in fretta tutti gli scalini.
Entrammo in camera. C’erano di nuovo le lenzuola bordeaux che io adoravo.
Mi sistemò sul letto e mi carezzò i capelli. «Stai comodo?» domandò con le labbra sulla mia fronte. «Vuoi qualcosa da bere? O un antidolorifico?» fece per alzarsi ma non glielo permisi.
«L‘hai detto ai tuoi?» mugugnai abbracciandogli le spalle.
«Dovevo pure spiegare loro perché ero in quello stato pietoso dopo che...» strinse le palpebre. «Ho detto loro che....».
«Grazie.» sorrisi.
«Loro l‘hanno presa bene, sai?» sorrise. «Sono contenti che io sia felice... Con te...» mi baciò dolcemente le labbra. «Resta qui per favore, io mi occuperò di te».
Sorrisi. «Scusami, ti ho fatto a pezzi...».
Mi baciò di nuovo. «Devi mangiare».
«Mangerò.» annuii.
«Devo anche medicarti...» mormorò.
Sospirai. «Sai cosa m’è successo? Cosa m’hanno fatto?».
Mi strinse contro di sé. «Ti hanno massacrato a bastonate...».
Sospirai. «Sì ma... Cosa m‘è successo?».
A dire il vero avevo pochi piccoli frammenti di quei momenti che mi avevano portato al ricovero in ospedale.
«Ti hanno sfasciato una gamba. Hanno proprio polverizzato l‘osso... Sei stato operato tre volte al ginocchio per sistemare la cosa e sarà necessaria molta fisioterapia...» mormorò a testa bassa, forse dovevo evitare di chiederlo a lui, domandarlo a Leen sarebbe stato meno deleterio. «Il polso è slogato... Non è grave per fortuna...» mi baciò le nocche della mano fasciata. «Ti hanno accoltellato, due volte, qui...» sfiorò con due dita il mio ventre. «Perdevi così tanto sangue... Eri così pallido e coperto di....» scosse il capo. «Hanno dovuto operarti... Quattro volte... Quattro volte... Visto che ti hanno anche preso a calci gli intestini si sono arrotolati, sono usciti, avevi le budella di fuori...».
Lo guardai in silenzio.
Era distrutto, era davvero distrutto, mi guardava con gli occhi stanchi, mi domandai da quanto non dormisse e da quanto non si radesse eppure mi piaceva vederlo così maschio.
Sorrisi. «Ma sto bene ora…».
«Sarebbe stato meglio se tu fossi rimasto con me...» farfugliò. «Non ti sarebbe successo niente...».
La mia mano fasciata raggiunse il suo viso. «Io mi chiederei piuttosto se tu non fossi passato a cercarmi....».
Sorrise. «Ti prego non....non pensarci. Ora tu resti qui, non ti permetterò di tornare a vivere lì. A costo di portarti con la forza, legato e incappucciato in Massachussetts e sposarti».
Sgranai gli occhi. «Cosa?».
Si chinò verso di me, mi prese la testa tra le mani e mi accarezzò delicatamente le guance con i pollici mentre le altre dita si intrecciavano ai miei capelli. Con le labbra curvate in un sorriso si scontrò contro la mia bocca e mi scoccò un bacio, un bacio diverso dal solito, o almeno diverso da quanto ricordavo. Era passionale, vorace, saporito. La sua lingua prese a rincorrere la mia, poi si staccò da me, ma restò con le labbra sul mio volto. «Ti...» bacio sull‘orecchio. «Voglio...» bacio sullo zigomo. «Sposare.» bacio sulla punta del naso.
«Non puoi dirlo seriamente!» farfugliai.
Mi baciò di nuovo le labbra. «In questo modo posso tenerti con me quanto voglio. Ti va di sposarmi?».
Sorrisi. «Scherzi?».
«Io voglio cambiare aria, mi prenderò un paio di settimane di aspettativa, potremmo andare a vedere una casetta in Massachussetts... Oppure farci una vacanza...» sorrise.
«Ma tu ami New York!» gli feci notare.
«Oh ma io amo di più te!» bofonchiò.
Io restai di stucco con gli occhi sgranati a guardarmelo inebetito e non riuscii a dirgli nulla.
 
website  Top
The Devil Clown ~
CAT_IMG Posted on 20/8/2010, 16:48




Che belliiiiii :wub: :wub: :wub: :wub: :wub: :wub: :wub: :wub:
Sono proprio due amori *v*
Glenn poi, lui è così.... MASCHIO, come hai detto tu :wub: :wub:

Mi aspettavo che l'avrebbe portato a casa nonostante le sue rispostacce, ma non credevo che l'avesse detto ai genitori! Per di più l'han presa bene *-*
Ora possono stare felici e contenti in casa e poi SPOSARSI *w*
 
Top
Asia191
CAT_IMG Posted on 28/8/2010, 23:28




Oh cielo, bellissimo! Bellissimo! BELLISSIMO! Proprio un capitolo da te! prima spezzi il cuore, poi ci dai una speranza e un mezzo contentino.. quindi secondo questo schema ora ci aspetta la batosta che ci ucciderà! che belloooo... (ç_ç) Bhe, devo dire che Glenn mi ha piacevolmente sorpreso.. ora si che è un uomo. E poi aveva pensato chissà cosa sul dire ai suoi della sua omosessualità.. invece l'hanno presa bene! Tanto fumo per niente. Meno male va.. ma poi diciamolo: come si fa a non adorare un tipetto come Nadir? <3
Oh cielo, poi la proposta.. è un fine capitolo così confortante, così amorevolmente studiato per essere così struggente, delicato, appassionato e con gradevoli speranze verso un futuro rose e fiori.. E' PROPRIO QUESTO CHE MI DA' DA RIFLETTERE! c'è sicuramente qualcosa sotto ò_ò è tutto TROPPO bello. Almeno per i tuoi canoni D:
Nuooo e pensare che.. sembrano così carini ora.. così coccolosi..
Posso fare una cosa da sadica e provare a fare un'off che poi ti dono con ammmmore di loro due che fanno sesso?? eh <3 <3 mi sono perfezionata nelle ff yaoi in questo mese <3 xD
Ora vado, un bacinooo
Ciao!
E CONTINUA!
 
Top
CAT_IMG Posted on 28/8/2010, 23:54

Junior Member
♦♦

Group:
Administrator
Posts:
67
Location:
L'Antro di Nonna Ggggì, ovvio ù_ù

Status:


occhei fallo xD
 
website  Top
Angeneko
CAT_IMG Posted on 18/3/2011, 22:16




Donna tu devi continuare questa storia -_-
Cioè non aggiornerai da una vita ma pretendo una continuazione .
Io non commento da mesi <_< Lo so sono un essere spregevole ma mi ero data alla macchia e cavolo non puoi lasciarci sul più bello sarebbe crudele, tanto crudele.
E poi loro sono dolcissimi :wub: si meritano anche loro un lieto fine anche se conoscendoti non sarà proprio un lieto fine :cry:
 
Top
4 replies since 20/8/2010, 16:23   186 views
  Share